“In ordine al fatto che il presente giudizio in opposizione è stato assegnato e trattato dal medesimo giudice-persona fisica che ha emesso l’ordinanza impugnata, basti in questa sede richiamare quanto statuito (nel senso della insussistenza di alcuna incompatibilità) sia dalla Suprema Corte (Cass. Lav. 17 febbraio 2015 n° 3136) sia dalla Corte Costituzionale (sentenza 13 maggio 2015 n° 78 ). […] <<Non può innanzitutto accogliersi la doglianza del ricorrente in ordine alla ritorsività del licenziamento. Come chiarito dalla Suprema Corte, infatti, “in tema di provvedimento del datore di lavoro a carattere ritorsivo, l'onere della prova su tale natura dell'atto grava sul lavoratore, potendo esso essere assolto con la dimostrazione di elementi specifici, tali da far ritenere con sufficiente certezza l'intento di rappresaglia, il quale deve aver avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà del datore di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione del provvedimento illegittimo” (Cass. sez. lav. 6 giugno 2013, n. 14319). Nel caso di specie, parte ricorrente non ha evidentemente assolto al proprio onere della prova, non avendo fornito elementi specifici da cui desumere l’intento ritorsivo asseritamente attuato nei suoi confronti. Infatti l’esistenza di un precedente provvedimento espulsivo nonché di un contenzioso in corso non sono elementi che, in difetto di concorso con altre specifiche circostanze, possono rivelare l’intento ritorsivo del datore di lavoro, specie a fronte delle specifiche contestazioni che fondano il provvedimento di licenziamento impugnato in questa sede.” (Tribunale di Castrovillari, Sez. Lav., sentenza n. 1397 del 16.09.2019, Giudice del Lavoro dott. Simone Falerno).